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All’apparenza può sembrare un paradosso, ma davanti a grandi istituzioni come i sindacati italiani, non si può che provare uno storico moto di gratitudine e riconoscenza.

Grandi uomini come l’On. Giuseppe Di Vittorio hanno guidato queste prestigiose istituzioni lungo la storia del nostro paese, pagando in prima persona un caro prezzo personale.

In nome della difesa dei lavoratori, hanno saputo combattere con caparbietà e senso di giustizia, ponendosi in contrapposizione con i loro stessi alleati; fu Di Vittorio stesso a dare prova di grande caratura morale quando lui uomo del PCI dinanzi all’intervento dell’allora esercito sovietico che represse la rivolta di Praga arrivò a confidare al suo amico Giolitti “Questi sono regimi sanguinari! Una banda di assassini”.

L’Italia degli anni 40 e 50 era profondamente diversa da come la conosciamo ora, una ristretta élite teneva ben salde le redini del nostro paese, in logiche medioevali, poco superiore alla servitù della gleba, il lavoratore era visto come mero oggetto, uno strumento atto a produrre ricchezza per la classe imprenditoriale, disinteressata al benessere dei propri sottoposti.

Grazie alle giuste rivolte dell’epoca si arrivo al riconoscimento dei diritti del lavoratori, molti “umili” contadini, operai, artigiani riuscirono nell’emancipazione, divenendo essi stessi imprenditori, creando le basi per l’Italia che oggi conosciamo, un paese in controtendenza rispetto a resto del mondo, non costellato esclusivamente da grandi aziende ma con un patrimonio di micro e medie imprese rappresentanti dell’ossatura stessa della nostra economia.

Oggi le sfide dei nostri piccoli, medi e grandi imprenditori sono inesorabilmente mutate, non più relegate al nostro piccolo cortile nazionale, ma di ampio respiro; non è più economicamente possibile pensare ad una tutela dei lavoratori nazionali senza confrontarci con il resto del mondo; globalizzazione, tigri asiatiche e locomotive post sovietiche sono li ad attenderci pronte alla sfida.

Questo panorama si stava già delineando negli anni novanta, quando passo la riforma del lavoro Treu e bocciata la mia riforma del mercato del lavoro, presentata l’anno prima; fui profondamente rammaricato, i sindacati vedevano i mè un antagonista invece che un forte alleato che con soluzioni innovative si poneva come obbiettivo la tutela del lavoratore e delle aziende.

Il tempo è stato galantuomo, le agenzie pubbliche di collocamento hanno dimostrato la loro totale inefficacia, inserendosi in logiche ministeriali di spesa; diecimila dipendenti, 800 miliardi di euro spesi per risultati mediocri.

Interinali, centri per l’impiego privatizzati non sono sinonimo di sfruttamento, ma di nuova visione del mercato del lavoro, incentrata sul lavoratore, dotandolo di una formazione continua, di giuste motivazioni, e di continue opportunità , le agenzie possono rappresentare un salvagente economico per superare l’attuale congiuntura economica, ridando dignità a persone da troppo tempo inoperose.

Come tutte le grandi sfide e cambiamenti, anche quella del mercato del lavoro genera paure e perplessità, abbandonare la vecchia strada per la nuova significa rischiare; ma con la consapevolezza che la vecchia via è giunta ormai al termine.

Agli albori della terza rivoluzione industriale non possiamo che abbracciare il nuovo modello economico, non diminuendo diritti ma preservandoli adattandoli alla nuova economia.