carceriForse non è un tema popolare, ma non mi stancherò mai di denunciare le condizioni degli ultimi, anche di quelli che stanno in prigione. Ben 15.663 detenuti, il 23,84% dei 65.701 presenti nelle carceri italiane il 31 dicembre scorso, ha problemi di tossicodipendenza: di questi, 4.864 sono gli stranieri. Sardegna, Puglia, Molise, Liguria e Lombardia le regioni nelle quali la percentuale supera abbondantemente il 30% delle presenze.

Sono i dati forniti dal sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo sindacato dei baschi azzurri, sulla presenza di tossicodipendenti tra la popolazione detenuta in Italia.

Il sindacato torna a ricordare che «se per un verso è opportuno agire sul piano del recupero sociale, è altrettanto necessario disporre di adeguate risorse per far fronte alla possibilità che all’interno del carcere entri la droga. Alcuni recenti fatti di cronaca hanno dimostrato che è sempre più frequente il tentativo, anche da parte dei detenuti appena arrestati o di familiari e amici si ristretti ammessi a colloquio, di introdurre sostanze stupefacenti all’interno degli istituti penitenziari».

Non basta, quindi, la professionalità della polizia penitenziaria che soffre, come i detenuti, le condizioni di sovraffollamento delle carceri.

L’Italia ha una legislazione all’avanguardia che consente ai tossicodipendenti di scontare la pena all’esterno. Ma ciò non basta perché i drogati all’interno delle carceri sono tantissimi.

«La legge prevede – si legge nella nota del sincato Sappe – che i condannati a pene fino a sei anni di reclusione, quattro anni per coloro che si sono resi responsabili di reati particolarmente gravi, possano essere ammessi a scontare la pena presso strutture pubbliche o private, dopo aver superato positivamente o intrapreso un programma di recupero sociale. I detenuti tossicodipendenti sono persone che commettono reati in relazione allo stato di malattia e quindi hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione».

 

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