Siamo nell’Area Marina Protetta gestita dal WWF, in provincia di Brindisi, la Riserva Torre Guaceto. Chiunque arrivi qui, in quest’angolo di Alto Salento – sia se c’è il sole o una leggera pioggerellina, perché capita che piova anche in Puglia – resta affascinato dal paesaggio. Si avverte subito di essere “altrove”, lontano nel tempo. Un altrove che ti colpisce per immagini: lo sguardo spazia da una parte sul verde della pianura e dall’altra sull’azzurro del mare Adriatico., un paradiso di macchia mediterranea ancora intatto che corre lungo otto chilometri di costa. E nel mezzo spicca la Torre Aragonese Torre Guaceto, una torre d’avvistamento a pianta quadrata, con tre caditoie con archetto per lato, costruita nel XIV secolo a opera di Carlo d’Angiò per contrastare gli sbarchi dei Saraceni. All’interno conserva l’imponente installazione storico-artistica di una nave romana, utilizzata per il trasporto di olio e vino nelle anfore di terracotta e realizzata da uno dei più famosi maestri d’ascia in Italia, Mario Palmieri. Tante le attività organizzate dal Consorzio di Gestione: escursioni guidate a piedi e in bici alla scoperta dei diversi habitat della riserva, attività subacquee (snorkeling e immersioni) per esplorare i ricchi fondali dell’area marina protetta e poi le lezioni di vela nella bella spiaggia di Punta Penna Grossa, Bandiera Blu. Torre Guaceto grazie alla sua splendida posizione riesce a vedere tutte le altre torri del territorio di Carovigno. Tra queste, c’è Torre Gironda a forma circolare e in parte nascosta nell’abitato del centro storico. Al suo interno c’è un forno che un tempo riforniva il castello (da assaggiare dolcetti e taralli) o la Torre dell’Orologio, detta civica, perché a fianco c’erano le insegne civiche della città. Mentre si passeggia, si scopre all’improvviso la trecentesca Chiesa Madre dedicata all’Assunta. Una chicca è il rosone decorato che sembra un ricamo in pietra, su una navata laterale nascosta, testimonianza delle numerose trasformazioni urbane intercorse nei secoli. E si arriva poi al castello Dentice di Frasso che si erge nella parte più alta e che si caratterizza per la torre a mandorla che ricorda la prua di una nave. Nel fiabesco cortile, ornato da ficus, palme e da quattro enormi platani centenari, si ammirano la torre angioina del XIV secolo e la scenografica scala dei Grifoni.
Omonimo è anche il castello della vicina cittadina di San Vito dei Normanni: nel cuore del centro storico, deve il suo nome alla famiglia che ancora oggi vi risiede. Ed è proprio il conte ad accompagnare durante la visita. Ci si aggira di stanza in stanza, ben trenta, da quella “delle udienze”, dove si riceveva il popolo per parlare delle problematiche del paese, alla stanza delle “delle Dame” con pavimenti in ceramica proveniente da Vietri, soffitti affrescati, e una collezione di corpetti dell’800. Poco fuori l’abitato, vale una visita la cripta di San Biagio, in località “Jannuzzo”, santuario bizantino, posto al centro di un antico insediamento monastico, ricavato all’interno di una grotta scavata nel banco roccioso. Conserva un ciclo pittorico con scene cristologiche, unico nel meridione, e datato 1196: l’Annunciazione, la Natività, la Fuga in Egitto, la Presentazione al Tempio, l’Ingresso a Gerusalemme. Le pareti interne conservano scene della vita del santo titolare, episodi tratti dai Vangeli apocrifi e ritratti dei santi della chiesa orientale e occidentale.
Di grotta in grotta e di torre in torre si arriva infine a Ceglie Messapica con la svettante Torre Quadrata del Castello Ducale, simbolo della cittadina e risalente all’anno Mille. Numerose le famiglie che si sono susseguite come dimostrano i diversi stemmi nobiliari. Infine, appena fuori l’abitato si trovano le grotte di Montevicoli. Uno “scrigno speleologico” che ricorda le più famose grotte di Castellana, ma in versione ridotta: circa 60 metri di lunghezza. Si scende di pochi metri sotto il livello di calpestio e si è circondati da stalattiti, stalagmiti e colonne. Tutto intorno l’abbraccio di una campagna, che s’illumina con i riflessi argentei degli uliveti – alberi secolari, che viene voglia di stringere per ritrovare energia – e il verde delle altre colture.

Fonte: La Repubblica