Gli accademici dell’Università di Friburgo svilupparono a livello dottrinale tra gli anni trenta e gli anni cinquanta la teoria poi definita ordoliberale, che visse il suo periodo d’oro specialmente nella Germania postuma alla Seconda Guerra Mondiale, la “Germania anno zero” che Rossellini descriveva nelle sue condizioni di assoluta disgrazia dopo la sconfitta nel dilaniante conflitto bellico mondiale, il secondo. Adenauer, storico cancelliere tedesco del dopoguerra, affidò le finanze a Ludwig Erhard, sostenitore della scuola di Friburgo. A livello meramente teorico, e dunque non considerando soltanto la dimensione storica in cui essa si muoveva, la teoria ordoliberale si collocava pressappoco in una posizione che potremmo definire “centrista”, per il seguente motivo: non è prettamente liberale, o almeno non lo è nel suo significato classico, ma certamente è avversa altresì al dirigismo del collettivismo. Per questa “terzietà” di posizionamento, l’ordoliberalismo è stato accostato anche alla terza via dei New Labour, quella per intenderci che andava fortemente in voga con Tony Blair, ma questo legato al Labourismo inglese ha prospettato in maniera più marcata un incentivo alla deregolamentazione.

Gli ordoliberali non sono liberali classici 

Ordoliberalismo e liberalismo classico non sono sinonimi. L’ordoliberalismo è tendenzialmente critico verso un capitalismo selvaggio e ne muove critiche relative al suo eccesso. In realtà il contesto in cui si mossero la Scuola di Friburgo e quella di Francoforte si può dire che a grandi linee sia stato non particolarmente dissimile. Se però a Francoforte venne appoggiata la dottrina marxista, a Friburgo le cose andarono diversamente e si rimase nell’alveo del liberalismo. All’ordoliberalismo viene mossa oggi la critica di aver “egemonizzato” i trattati europei, di aver costituito un’Europa diseguale e quant’altro.