ritardo-pagamentiIn campagna elettorale non si fa che parlare di crescita, ma il Pil è in picchiata da ben 18 mesi. Un credibile piano di sviluppo dell’economia passa anche dalla questione dei crediti incagliati, quelli cioè che le imprese non riescono a incassare e spesso le portano a chiudere. Si parla in proposito di «morte per crediti».

Il fenomeno è davvero impressionante, come ci ha informato nei giorni scorsi il Sole 24 ore. Un fiume di denaro pari a 136,9 miliardi che riguarda quelle pubbliche amministrazioni che non pagano puntualmente. Fra i debitori più importanti ci sono Comuni, Province e Regioni e fra quest’ultime in testa sono Lazio, Campania e Puglia.

Soldi che la pubblica amministrazione chiama residui passivi, vale dire soldi non spesi, ma che per le aziende sono ossigeno per continuare a vivere. Negli investimenti primeggiano gli enti di Puglia (10,1 miliardi), Campania (9,3) e Lazio (7,2), mentre nella spesa corrente i residui maggiori si incontrano tra le pieghe dei bilanci pubblici in Lazio (11,3), Campania (6,1) e Piemonte (5,5).

Le cause sono due: la prima ha a che fare con il Patto di stabilità che spinge gli enti a non pagare i debiti ma in realtà essi dovrebbero tagliare le spese; la seconda riguarda quelle pubbliche amministrazioni che continuano a spendere soldi che non hanno, sulla base di crediti, che difficilmente riusciranno a riscuotere. Si pensi alla Sicilia, che vanta crediti di 6 miliardi ma che non era più in grado di pagare gli stipendi.

Una grave situazione che fa a pugni con la regola Ue dei pagamenti dei debiti entro 60 giorni, introdotta anche da noi dal 1° gennaio, che fa scattare interessi dell’8,75% se non viene rispettata. Una bomba, che senza interventi strutturali, può moltiplicare le spese aggiuntive. Per darvi un’idea di cosa può succedere si pensi a una città come Napoli che paga i suoi fornitori dopo 5 anni.