Nella prima metà del Novecento già si era affermata in Europa e nell’Unione sovietica un tipo di economia palesemente rivolta allo statalismo. Da una parte era ovvio che il sistema comunista fosse improntato a uno statalismo radicale, d’altronde quella era la sua intrinseca natura, la sua essenza; dall’altra era meno scontato che prendesse questa direzione anche l’Europa fascista, se non quando anche quella nazionalsocialista nella Germania hitleriana.

L’ordoliberalismo, corrente di pensiero economico della Germania del dopoguerra, si trovò chiaramente nella posizione di dover rompere con il passato del nazismo hitleriano, prendendo dunque le distanze dall’interventismo “socialista” ma, allo stesso tempo, anche dal modello del laissez faire: dunque rimanendo distante egualmente dal non interventismo come dalle teorie keynesiane.

Al fine di garantire un funzionamento stabile del mercato, nella teoria ordoliberale creare una struttura di regolamenti che stabiliscano un ordine è un precetto necessario.

Vi è da fare dunque attenzione anche a livello dottrinale: per quanto l’ordoliberalismo venga definito anche “neoliberalismo tedesco” a causa del fatto che costituisca un nuovo corso nella storia dell’economia tedesca, allo stesso tempo però esso non ha nulla a che fare con il neoliberalismo in quanto dottrina a sé stante, che è un’altra cosa.