Negli ultimi mesi si è riacceso in Italia l’annoso dibattito sulla riduzione del cuneo fiscale e contributivo, cioè la differenza tra il costo del lavoro e il netto che finisce intasca al lavoratore. Una differenza consistente, pari al 42% per un dipendente con un reddito lordo di 12 mila euro, che sale fino al 48% quando il reddito è di 36 mila euro.
Ma la distorsione è ancora più evidente per i lavoratori autonomi sui quali, a parità di reddito del dipendente, grava un cuneo, rispettivamente, del 46% (4% in più) e del 57% (9% in più). Eppure, il dibattito sui mass media e nelle dichiarazioni dei politici è normalmente focalizzato sui lavoratori dipendenti, come se gli autonomi fossero una categoria di serie B, dei quali non è elegante occuparsi. Soprattutto in campagna elettorale!
I dati percentuali riportati sono naturalmente una media di situazione diverse tra loro, ma esprimono in modo sufficiente una realtà inconfutabile. Il carico fiscale e contributivo è eccessivamente gravoso per un lavoratore dipendente, e in un periodo di alta inflazione questo diventa un problema serio. Ma lo è ancora di più per un professionista o un lavoratore autonomo che si trova di fronte ad aliquote espropriative, che spesso riducono il reddito netto ben al di sotto della metà di quanto il professionista o il lavoratore autonomo riesce a fatturare.
E’ un problema enorme, che interessa il Italia oltre 5 milioni di lavoratori autonomi, il 21% della forza lavoro, eppure sembra che non interessi nessuno. O almeno, per quanto le associazioni di categoria e i sindacati di settore si sforzino di far presente l’iniquità di questa situazione, il tema viene normalmente relegato ai margini del dibattito maistreaming. Forse perché le forze politiche della sinistra e i sindacati, che godono di una forte egemonia nei mass media, si sono tradizionalmente proposte come rappresentanti dei soli lavoratori dipendenti e hanno spesso confinato professionisti e autonomi, nella categoria dei “privilegiati”, quando non in quella degli “evasori”. Escludendo quindi l’opportunità di difenderne le ragioni e gli interessi (spesso percepiti, anzi, come contrapposti a quelli dei dipendenti).
Di fatto quindi un lavoratore su cinque, pur non avendo le garanzie assicurate ai dipendenti, dovendo perciò pagare di tasca propria le incertezze e le difficoltà che possono essere causate da eventi imprevedibili come malattie, infortuni, cambiamenti improvvisi della situazione del mercato, pandemie, guerre ai confini europei, inflazione, crisi energetiche o, non ultimo, caos normativo, rischiano di essere ancora privi di una rappresentanza politica complessiva in grado di tutelarne efficacemente gli interessi prendendosi carico delle macroscopiche ingiustizie che una normativa frammentata e un po’ caotica, spesso finisce per scaricare sulle loro spalle