Immaginate di poter trasformare l’energia in denaro.

Il lavoro funziona così: servono macchine specializzate in particolari calcoli matematici e l’elettricità per alimentarle. Più sono le macchine, maggiore è il guadagno. Nella voce dei costi, naturalmente, c’è il prezzo delle apparecchiature e quello della corrente, nella voce dei ricavi il denaro creato.

Questo modello di business esiste già e si chiama “mining“: non produce nuovi euro o dollari, ma bitcoin.

Il mining è ormai da tempo nel mirino dell’informazione tradizionale per via del consumo energetico che comporta – all’incirca metà del sistema bancario globale – tuttavia questa critica non coglie il punto fondamentale della questione. 

Come detto, la bolletta dell’elettricità per il miner – così viene definito chi fa mining – non è un guadagno bensì un costo: più è bassa, maggiore è il profitto finale. Dunque, a meno di non voler perdere soldi, i miner sono incentivati a cercare fonti il più economiche possibili.

Le fonti rinnovabili ad oggi costano meno di quelle inquinanti e in prospettiva la discrepanza di prezzo sarà sempre maggiore. Chi intraprende l’attività di mining, dunque, ha tutto l’interesse nell’investire in impianti green che in futuro costeranno ancora meno. E’ per questo che il mining di Bitcoin, molto più di altri settori, potrà diventare uno dei più grandi traini per la transizione energetica globale.

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